“Perché i Latinos della Florida hanno votato Trump”

Anno

2025

Testata

Lucy. Sulla cultura

A Miami nessuno parla inglese. È un’iperbole, ma solo in parte: in città vivono 500mila persone, di cui il 70% di origine ispanica o latino-americana e l’enorme contea di Miami-Dade, che si estende dal sobborgo di Aventura a nord fino alle estreme propaggini acquitrinose delle Everglades a sud, è la contea a maggioranza ispanica più popolosa degli Stati Uniti. Per le strade di Brickell e Coral Gables non è affatto raro sentire di sfuggita una conversazione che comprende interiezioni come “pero like”, “dale” o “entonces then”. Anice, l’autista venezuelana dell’Uber che mi porta a Key Biscayne – l’isoletta residenziale e naturalistica che nel secolo scorso è stata sede della più grande piantagione di palme da cocco del Paese – non sa se rallegrarsi o lamentarsi di questo stato di cose: “È da cinque anni che vivo qui, debería practicar ingles, ma tutti quelli che conosco parlano spagnolo”. Quando dice “qui”, Anice intende a Doral, un sobborgo appena a ovest dell’aeroporto internazionale di Miami dove il numero di suoi connazionali è così ingente da essere stato ribattezzato “Doralzuela“. Anice lo ripete divertita. A Doral, secondo una notizia che dice di aver letto online, Donald Trump – che nella cittadina è peraltro proprietario di un noto e lussuoso campo da golf – a novembre avrebbe conquistato il 95% delle preferenze dei venezuelani (non sono riuscito a verificare la notizia, forse per limiti del mio spagnolo).

Privacy Preference Center